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Lo Spazio Post-Sovietico e il dibattito alla Sapienza
Nei giorni 3 e 4 dicembre 2013 si è svolto presso La Sapienza la Conferenza Internazionale “Geopolitical Structures of the Post-Soviet Space”. Nata da una felice intuizione del Prof. Antonello Biagini, quest’iniziativa era stata pensata come un’occasione di riflessione storico-politica su una regione ancora poco trattata a dispetto della grande rilevanza strategica ed economica per l’Europa in generale e per l’Italia in particolare. Una circostanza rilevata dall’Ambasciatore della Federazione Russa Sergey S. Razov, che ha notato come l’Italia riservi ai paesi di quest’area attenzione e sensibilità ben maggiori di ogni altro paese europeo.
Tuttavia l’imprevedibile calendario della politica internazionale ha fatto coincidere la conferenza con i momenti più tesi delle proteste in Ucraina per la mancata sottoscrizione dell’Accordo con l’Unione Europea, catalizzando su Roma l’attenzione di osservatori e mezzi di comunicazione nel tentativo di leggere gli eventi ucraini tanto alla luce delle piazze di Kiev quanto delle considerazioni svolte alla Sapienza. Oltre a studiosi italiani e stranieri, il parterre di ospiti intervenuti comprendeva Nikolaj N. Bordjuzha, Segretario Generale dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO: un’alleanza militare assimilabile alla Nato che riunisce Russia e altre cinque repubbliche ex-sovietiche), Leonid V. Drachevskij, già Ministro per i Rappori della Russia con i paesi della CSI e Plenipotenziario del Presidente Putin in Siberia, Natalija A. Narochnizkaja, già Vicepresidente della Commissione Esteri della Duma e rappresentante di Putin durante la campagna presidenziale del 2012 e Michail V. Remizov, coordinatore scientifico della Commissione Militare-Industriale del Governo Russo. Accanto a loro gli Ambasciatori in Italia di Russia, Azerbaigian, Bielorussia, Kazakhstan, Ucraina e Uzbekistan. Va ricordato che ciascuno di questi paesi ha saputo trovare una propria via allo sviluppo e alla crescita, conseguendo talvolta risultati straordinari (come avvenuto per Azerbaigian e Kazakhstan).
Allo stesso modo, nell’ambito della politica estera le singole repubbliche post-sovietiche hanno definito linee diverse, in alcuni casi più concilianti con la Russia e con i moltissimi legami tra coloro che vent’anni fa erano cittadini di un unico stato, in altri casi più freddi o addirittura ostili (il conflitto del 2008 tra Russia e Georgia è un esempio eloquente). Pluralità di politiche che si è tradotta nell’adesione o meno ad organizzazioni internazionali viste come eredità del passato (CSI, CSTO, Comunità Economica Euroasiatica), nella nascita di nuove organizzazioni più regionalizzate (GUAM e Unione Centroasiatica) e in atteggiamenti molto diversi verso soggetti esterni quali Unione Europea e Nato. Si tratta, è evidente, di un quadro estremamente complesso. La Conferenza, aperta dai saluti del Rettore Frati e del Prorettore Biagini, è stata così l’occasione per ascoltare accanto ad analisi scientifiche le posizioni di personalità istituzionali di primo piano della Federazione Russa, nonché dei massimi rappresentati ufficiali di buona parte dell’ex Urss. Inevitabilmente, parte dell’attenzione si è concentrata sui disordini in corso a Kiev e sulle conseguenze dell’eventuale adesione all’Ue.
Se da un lato la rappresentate dell’Ambasciata d’Ucraina ha sottolineato che l’integrazione comunitaria non dovrebbe essere letta in chiave antirussa, bensì come il conseguimento delle aspirazioni ucraine ad uno sviluppo sociale ed economico ispirato alle realtà dell’Europa Occidentale, dall’altro alcuni relatori russi hanno rilevato come l’attuale situazione sconsigli questa scelta: non solo, ha osservato Narochnizkaja, tra Ucraina e Russia ci sono legami culturali, linguistici, sociale e storici fortissimi, ma ben l’80% della produzione industriale di Kiev è rivolta alla Russia e la conseguenza di un adesione all’Unione Europea comporterebbe lo sfascio della già traballante economia ucraina. In secondo luogo si pone la questione dell’integrazione euroasiatica: Russia, Bielorussia e Kazakhstan hanno già istituito un’unione doganale e uno spazio di libero scambio e proseguono verso un processo d’integrazione che punta a coinvolgere altri paesi ex-sovietici (Armenia e Kirghisia hanno espresso volontà in questa direzione).
In più occasioni i fautori del progetto euroasiatico hanno invitato Kiev ad aderirvi, precisando che, in ogni caso, integrazione europea ed euroasiatica sono tra loro incompatibili. Posizione ribadita dai presidenti Putin e Nazarbaev pochi giorni fa. Tutti i relatori sono stati concordi nel riconoscere l’esclusiva competenza del Governo ucraino in merito. I diplomatici presenti hanno poi rappresentato l’evoluzione dei rispettivi paesi dopo il 1991, segnalando i successi nella costruzione di società in cui coesistono pacificamente nazionalità, etnie e religioni diverse, ciascuna messa nelle condizioni di contribuire al successo comune. Di questa realtà, Baku è uno dei casi più evidenti, come osservato non solo dall’Ambasciatore azerbaigiano, ma anche dai suoi colleghi. Tutti gli ambasciatori hanno sottolineato gli ottimi rapporti politici ed economici che legano i loro paesi all’Italia e ne hanno auspicato un ulteriore incremento.
Le conclusioni sono state affidate all’On. Franco Frattini, già Ministro degli Esteri e attualmente candidato a succedere ad Anders Rasmussen quale Segretario Generale della Nato. Nel suo intervento ha richiamato i fortissimi interessi comuni in materia di sicurezza, dalla lotta al terrorismo e alla pirateria fino al contrasto al traffico di esseri umani e di narcotici ed ha ricordato gli importanti contributi di paesi ex-sovietici sia in Afghanistan che nella ricostruzione dell’Iraq. Una cooperazione da approfondire e che dovrebbe fugare ogni atteggiamento di contrapposizione e di scontro. Quanto ai fatti dell’Ucraina, Frattini ha notato che il mancato accordo non rappresenta un’occasione definitivamente perduta, ma suggerisce una riconsiderazione dei tempi e delle condizioni, ferma restando l’esigenza che la decisione venga rimessa unicamente alla libera e sovrana determinazione del governo di Kiev.
Se da un lato la rappresentate dell’Ambasciata d’Ucraina ha sottolineato che l’integrazione comunitaria non dovrebbe essere letta in chiave antirussa, bensì come il conseguimento delle aspirazioni ucraine ad uno sviluppo sociale ed economico ispirato alle realtà dell’Europa Occidentale, dall’altro alcuni relatori russi hanno rilevato come l’attuale situazione sconsigli questa scelta: non solo, ha osservato Narochnizkaja, tra Ucraina e Russia ci sono legami culturali, linguistici, sociale e storici fortissimi, ma ben l’80% della produzione industriale di Kiev è rivolta alla Russia e la conseguenza di un adesione all’Unione Europea comporterebbe lo sfascio della già traballante economia ucraina. In secondo luogo si pone la questione dell’integrazione euroasiatica: Russia, Bielorussia e Kazakhstan hanno già istituito un’unione doganale e uno spazio di libero scambio e proseguono verso un processo d’integrazione che punta a coinvolgere altri paesi ex-sovietici (Armenia e Kirghisia hanno espresso volontà in questa direzione).
In più occasioni i fautori del progetto euroasiatico hanno invitato Kiev ad aderirvi, precisando che, in ogni caso, integrazione europea ed euroasiatica sono tra loro incompatibili. Posizione ribadita dai presidenti Putin e Nazarbaev pochi giorni fa. Tutti i relatori sono stati concordi nel riconoscere l’esclusiva competenza del Governo ucraino in merito. I diplomatici presenti hanno poi rappresentato l’evoluzione dei rispettivi paesi dopo il 1991, segnalando i successi nella costruzione di società in cui coesistono pacificamente nazionalità, etnie e religioni diverse, ciascuna messa nelle condizioni di contribuire al successo comune. Di questa realtà, Baku è uno dei casi più evidenti, come osservato non solo dall’Ambasciatore azerbaigiano, ma anche dai suoi colleghi. Tutti gli ambasciatori hanno sottolineato gli ottimi rapporti politici ed economici che legano i loro paesi all’Italia e ne hanno auspicato un ulteriore incremento.
Le conclusioni sono state affidate all’On. Franco Frattini, già Ministro degli Esteri e attualmente candidato a succedere ad Anders Rasmussen quale Segretario Generale della Nato. Nel suo intervento ha richiamato i fortissimi interessi comuni in materia di sicurezza, dalla lotta al terrorismo e alla pirateria fino al contrasto al traffico di esseri umani e di narcotici ed ha ricordato gli importanti contributi di paesi ex-sovietici sia in Afghanistan che nella ricostruzione dell’Iraq. Una cooperazione da approfondire e che dovrebbe fugare ogni atteggiamento di contrapposizione e di scontro. Quanto ai fatti dell’Ucraina, Frattini ha notato che il mancato accordo non rappresenta un’occasione definitivamente perduta, ma suggerisce una riconsiderazione dei tempi e delle condizioni, ferma restando l’esigenza che la decisione venga rimessa unicamente alla libera e sovrana determinazione del governo di Kiev.
Il pensiero e l'insegnamento di Gramsci nella transizione venezuelana
13 dicembre 2013 ore 17
Aula Organi Collegiali
Presentazione del volume di Jorge A.
Giordani, La transizione
bolivariana al socialismo, Natura Avventura Edizioni, 2013, revisione e
reimpostazione critica per l'edizione italiana di L. Vasapollo e R. Martufi
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Il dibattito politico-culturale a Mosca, l'edificazione di un'identità nazionale condivisa e il rilancio del soft power russo
Lo scorso 30 ottobre
l’Istituto Russo per le Ricerche Strategiche di Mosca ha organizzato la
conferenza “La Russia e il Mondo allo scoppio della Prima guerra mondiale”.
Alla conferenza ha
partecipato una delegazione dell’Università degli Studi di
Roma “La Sapienza”, per presentare i primi risultati di un lavoro di ricerca
ancora in corso sotto la direzione del Prorettore Vicario dell’Ateneo Prof.
Antonello Folco Biagini.
Nel corso dei lavori è emerso un
vivace dibattito storiografico sulle origini della Prima guerra mondiale e sul
ruolo svolto dalla Russia rispetto al tramonto dell’equilibrio di potenza
europeo del XIX secolo. Rispecchiando una frattura presente anche nella scena
politica e nella società russa, i relatori si sono divisi tra i sostenitori
della formula politica dell’élite zarista (ortodossia, monarchia, nazione), che
si diffuse nell’Ottocento come risposta alla rivolta decabrista del 1825, e
coloro che, al contrario, concordano con la chiave di lettura di questi eventi
offerta dagli storici d’epoca sovietica.
I primi sostengono la tesi per
cui la Russia zarista non disponeva di piani strategici offensivi
particolarmente avanzati alla vigilia della guerra e che con l’avvento dei
bolscevichi l’esercito russo si sarebbe ritirato dai combattimenti nel momento
in cui avrebbe potuto cogliere i frutti dei sacrifici sopportati negli anni
precedenti. In questa prospettiva hanno proposto di ribattezzare la Grande
guerra come “Seconda guerra patriottica”, in quanto dovrebbe essere posta in
linea di continuità con la “Prima guerra patriotica” combattuta contro le
truppe napoleoniche nel 1812 e la “Grande guerra patriotica” condotta contro la
Wehrmacht tra il 1941 e il 1945.
A far da contraltare a questa posizione
è stato un altrettanto nutrito gruppo di intellettuali vicini alla prospettiva
della storiografia sovietica che hanno insistito sull’idea che la Russia di
Nicola II progettava da tempo il suo impegno in una guerra generale e che il
trattato di Brest-Litovsk venne sottoscritto nel momento culminante per le
tragedie direttamente o indirettamente causate da una guerra mal pianificata e
altrettanto mal condotta (rotta dell’esercito, carestie, instabilità politica,
ecc…). Rispetto a tale confronto il rappresentante del presidente della
Federazione Russa non ha appoggiato apertamente né l’una, né l’altra posizione,
sottolineando gli elementi veritieri insiti sia nell’una, che nell’altra
riflessione.
Dopo il collasso dell’Unione
Sovietica nel 1991, la Federazione Russa - che ne ha raccolto l’eredità
politica - si è trovata alle prese con due questioni aperte di carattere
politico-culturale: 1) costruire un nuovo senso d’identità nazionale, per
arginare la frantumazione del nuovo Stato che si era prontamente verificata con
l’indipendenza degli Stati del Baltico, del Caucaso e dell’Asia centrale; 2)
trovare una nuova fonte di legittimazione per l’azione politica interna e
internazionale dello Stato neo-nato. La risposta a tale esigenza, comune a
numerosi Stati multietnici e multilinguistici, è stata più farraginosa in
Russia, a causa del ciclico emergere, in corrispondenza dei turning point della
vita nazionale, della volontà di nemesi politica e della complementare
necessità di rimuovere le costruzioni socio-istituzionali ereditate dal
passato.
Se nel corso dell’era Eltsin non
si era giunti ad una conclusione e lo scontro tra élite anti-sovietiche e
filo-sovietiche aveva polarizzato il dibattito culturale e politico a favore
delle prime, durante le presidenze di Putin e Medvedev si è proceduto alla
complessa operazione di recupero dell’intero bagaglio storico che ha preceduto
l’attuale corso di Mosca, declinato all’interno di una formula politica che si
potrebbe definire “sincretica”.
Il primo elemento della nuova
“ideologia” è l’identità cristiano-ortodossa e il legame tra il Cremlino e il
patriarcato di Mosca. La chiesa ortodossa ha tradizionalmente garantito una
sorta di legame spirituale del popolo con lo Stato, che si estendeva su
territori enormi e che - dai tempi della Rus’ di Kiev fino all’Impero zarista
di Nicola II - aveva rafforzato il senso di appartenenza nazionale.
Ma non bisogna dimenticare che,
sebbene sotto forme più discontinue e meno ufficiali, tale rapporto era rimasto
vivo anche durante il periodo comunista svolgendo una funzione determinante per
la salvaguardia dello Stato in alcuni momenti cruciali, in particolare nel
corso della Seconda guerra mondiale. Il secondo elemento è il passato
sovietico, che continua tuttora a influenzare la vita quotidiana in Russia e fa
parte della memoria storica di una fetta consistente della popolazione. La
nostalgia per il passato sovietico, che già negli anni Novanta serpeggiava tra
le generazioni più avanti negli anni, si è cominciata a diffondere anche tra i
più giovani, che tendono a idealizzarne l’immagine utilizzando l’apparato
simbolico-ideologico comunista e le suggestioni ad esso legate nelle
rivendicazioni movimentiste e nella creazione di nuove sub-culture (una
tendenza presente anche in Europa occidentale nella forma della cosiddetta
Ostalgie).
L’opera di nation-building e di
elaborazione di un nuovo soft power restano comunque un processo ancora in
corso e non privo di contraddizioni. Sebbene le autorità politiche russe stiano
alimentando nelle sedi istituzionali il dibattito su questo tema, di sovente si
trovano costrette a dover mediare tra i partecipanti ad un dibattito serrato
nella comunità scientifica e accademica. Ma le posizioni emerse sono solo
apparentemente inconciliabili, trovando il loro minimo comun denominatore nella
volontà di potenza della Russia e in uno spiccato nazionalismo. La tensione di
questi dibattiti, quindi, svolge la funzione positiva di esasperare la
diversità degli approcci per evidenziare alla fine la presenza di elementi comuni
che costituiscono il nuovo universo valoriale dello Stato.
di Gabriele Natalizia e Diana Shendrikova
L’Azerbaigian, Paese giovane e realtà in grande crescita
BAKU (AZERBAIGIAN) – Il 31 ottobre e il primo novembre 2013 si è
svolto a Baku, in Azerbaigian, un evento internazionale molto
importante: il Baku International Humanitarian Forum. Con la presenza di
personalità del mondo politico internazionale, alti funzionari,
diplomatici, accademici ed esperti provenienti da tutto il mondo, il
Forum si è articolato in una serie di sessioni di discussione sui temi
riguardanti gli aspetti umanitari dello sviluppo economico, le
innovazioni scientifiche e la diffusione dell’educazione, lo sviluppo
sostenibile, l’identità nazionale, le biotecnologie, il ruolo dei mass
media nel sistema di informazione globale.
L’ampiezza dei temi non ha impedito che al margine delle sessioni si
svolgesse una fruttuosa opera di networking, ad ogni livello. Il Forum
si è aperto con il discorso del presidente azerbaigiano Ilham Aliyev, è
proseguito con il messaggio del presidente russo Vladimir Putin e quello
del segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-Moon. La lista dei
partecipanti ha previsto l’intervento di 7 ex presidente e capi di
Stato, 13 premi Nobel e oltre 100 personalità pubbliche di livello
mondiale, nel contesto di circa 800 partecipanti totali in
rappresentanza di 70 paesi da tutti i continenti. La presenza di ex capi
di stato, ambasciatori, personalità del mondo della cultura e dello
spettacolo, ha dato anche un profilo mondano all’evento. Dall’Italia
spiccano i nomi dell’ambasciatore Ferdinando Nelli Feroci, del rettore
dell’Università di Siena Angelo Riccaboni, del professore Sergio
Marchisio della Sapienza Università di Roma, del senatore professoressa
Stefania Giannini, nonché del sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, che
incontrando l’omologo azerbaigiano di Baku ha confermato il rilancio
del gemellaggio esistente tra le due città, Napoli e Baku, che
notoriamente si caratterizzano per un golfo simile e una vocazione
marittima che risulta essere sostanziale anche nel carattere aperto e
ospitale di italiani e azerbaigiani.
L’Azerbaigian è un Paese che colpisce per l’evidente crescita
economica, la società giovane e laica, un mondo culturale capace di
creatività e innovazione: questi fattori sono elementi reali per il vero
sviluppo di uno Stato. La possibilità di grandi risorse energetiche,
infatti, sta fungendo da volano anche per le politiche sociali,
educative e culturali. Certo, il processo di costruzione della nazione
non è ancora compiutamente raggiunto così come le istituzioni stanno
svolgendo un percorso ancora lungo per il pieno raggiungimento degli
standard occidentali di libertà e democrazia: tuttavia si può ben dire
che le premesse per dei risultati fruttuosi nel futuro dell’Azerbaigian
sono reali. Infatti in una regione complessa, al margine tra grandi aree
culturali, l’Azerbaigian si trova al centro di questioni geopolitiche
complesse e di grande interesse. Baku è infatti un punto di riferimento
anche per Bruxelles, in una prospettiva di sempre maggiore integrazione
con l’Unione Europea all’interno del programma di partnership orientale.
La cultura laica che è alla base dell’islam sciita è la pietra angolare
per costruire la prospettiva di un Paese orientato verso i valori
occidentali, ma con ascendenze orientali e radici turche saldamente
asiatiche.
La storia della costruzione dello Stato azerbaigiano, con la prima
indipendenza raggiunta al crollo dell’Impero zarista (1918-1920), è un
punto di riferimento storico-culturale per la definizione di un Paese
che ha ritrovato la strada dell’indipendenza dall’Unione Sovietica solo
nel 1991. In quel periodo, però, si è anche riaperta la questione
nazionale con l’Armenia, che ha avuto come conseguenza il conflitto
armato per il Karabagh e l’occupazione da parte armena della regione
contesa insieme a quella delle regioni limitrofe. La situazione sul
campo è sostanzialmente congelata – è solitamente definito un frozen
conflict – ma la presenza di centinaia di rifugiati dalla regione e il
fallimento delle trattative che da anni sono ferme al mantenimento del
cessate il fuoco, è per certo un elemento di tensione all’interno del
Paese e nella regione. Nonostante ciò l’Azerbaigian tenta di mantenersi
un Paese affidabile e persevera una politica di equilibrio tra le
“superpotenze” (Russia e Stati Uniti) e le potenze regionali (Turchia,
Iran), mentre tra i suoi vicini l’Armenia è più chiaramente orientata
verso la Russia e la Georgia è stata notevolmente vicina all’Occidente.
In tale contesto la scelta migliore per le piccole e medie repubbliche
del Caucaso meridionale è sicuramente quella di perseguire una politica
estera “multi-vettoriale”, con una prospettiva geopolitica
multidirezionale. Il mantenimento di un delicato ma importante
equilibrio – per la stabilità e la sicurezza internazionale in una
regione chiave per l’approvvigionamento energetico – nell’area del
Caucaso e del Mar Caspio appare il modo migliore per mantenere il Paese
in una condizione di reale indipendenza e di autonomia nella gestione
delle ingenti risorse energetiche.
Andrea Carteny
International Conference. Geopolitical Structures of the Post-Soviet Space
I profondi mutamenti che hanno caratterizzato il sistema delle
relazioni internazionali dopo il 1991 hanno determinato crescente attenzione
verso il mondo eurasiatico. Nel volgere di due decenni le repubbliche
sovietiche hanno definito una propria identità, hanno dato vita a varie
organizzazioni sovranazionali e un insieme di fattori strategici ed economici
ne hanno fatto uno scacchiere geopolitico di importanza primaria. Motivi più
che sufficienti per fare il punto della situazione e per questo il 3 dicembre
dalle 15 ed il 4 dicembre della 9,30 presso il Rettorato si terrà il Convegno
internazionale "Geopolitical structures of the post-soviet space".
Sarà un momento di confronto scientifico e
culturale cui prenderanno parte ospiti d'eccezione, tra cui ambasciatori e
diplomatici di tutti i paesi ex sovietici presenti in Italia.
Un'occasione preziosa per gettare luce su
un'area ancora poco conosciuta per quanto d'interesse vitale per l'Italia e per
l'Europa.
L'ingresso è libero.
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Azerbaijan is following the right path. Opinion by Italian expert - INTERVIEW
Day.Az Interview with Daniel Pommier Vincelli, Researcher and
professor, Sapienza University of Rome
- What are your impressions of Azerbaijan? What do you think about its future?
Azerbaijan is a beautiful country, inhabited by generous and open-minded people. Thanks to a high degree of social cohesion Azerbaijan overcame a deep crisis, caused by the aftermath of the dissolution of Soviet
- What are your impressions of Azerbaijan? What do you think about its future?
Azerbaijan is a beautiful country, inhabited by generous and open-minded people. Thanks to a high degree of social cohesion Azerbaijan overcame a deep crisis, caused by the aftermath of the dissolution of Soviet
- What can you say about balancing policy that Azerbaijan adheres in relation with the influential powers in the region and beyond?
Independence is always a best choice. The important thing is to avoid isolation. I think that Azerbaijan as minor regional power should maintain independence among different interests in a crucial region where great and medium powers launch their ambitions. Nowadays the country should avoid isolation either, by enhancing links with reliable European partners like Italy. Even the definition of West does not cover properly anymore a very complex framework. Being pro-west does not necessarily mean pro-American. I do hereby support this independent stance of Azerbaijan. The milestones of this policy should be the international cooperation, international law and stability. I think that so far Baku respected all these key principles.
- If to talk namely on the relations with Europe, what do you think about future of Azerbaijani-European ties?
Azerbaijan in Europe is a dream I often dream of. I do not know if Europe will enlarge against to East as she did until 2007. I hope that we could obtain one day the historical landmark of having Turkey in Europe as a full member. Until then the European enlargement is more a political approach than institutional and legal. Europeization means sharing the same values and strategies. I think that both parts could strengthen their links if they focus pragmatically on the same task: a peaceful, large, open and democratic Europe (or Eurasia) from the Atlantic to Central Asia.
- Then, how to explain the fact that the European Union’s role in the South Caucasus looks weak, though, according to Brussels, that region holds an important place on the agenda of European diplomacy?
Europe is often weak not only regarding Caucasus. I think, as I told in the previous question, that Europe should be more pragmatic and not losing time in useless polemics with Azerbaijan, like the election process. The partnership with Azerbaijan is strategic. I hope that next Vilnius meeting will pave the way to enhanced cooperation with the most fast growing economy of the six Eastern partnership countries.
- Share your thoughts with respect to Karabakh problem and its perspectives of settlement
I am always very stunned by the fact that in Europe very few people know that not only Karabakh is under Armenian occupation but many Azeri districts, which in 1992-1994 were inhabited by a clear majority of Azeri: people actually internally displaced in Azerbaijan. The Azeri nation suffered then a great and unjust loss of territory, people and future. This concept should be fully understood by the international community. Of course I support a peaceful solution based on the mutual principle of self determination and integrity of the Azerbaijani borders, as based in the four UN resolutions. I hope that the meeting between the presidents of the two countries, the first without official mediators, could lead the issue out of stagnation
Presentazione del volume Tratado de Metodos de Analisis de los Sistemas Economicos. Mundializacion Capitalista y Crisis Sistemica di Luciano Vasapollo.
La presentazione del volume del prof. Luciano Vasapollo,
Tratado de Metodos de Analisis de los Sistemas Economicos. Mundializacion
Capitalista y Crisis Sistemica avrà luogo il 20 novembre dalle 11 alle 13 in aula Organi Collegiali,
Rettorato, Città Universitaria, P.le Aldo Moro, 5.
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Creare lo Sviluppo. Inaugurazione sezione Cooperazione Internazionale - Fondazione Roma Sapienza
Mercoledì 23 ottobre 2013, ore 11,
Aula Organi Collegiali - Rettorato
Piazzale Aldo Moro, Roma
Mercoledì 23 ottobre si svolgerà una tavola rotonda sul tema "Creare lo Sviluppo" promossa dalla Sezione Cooperazione Internazionale della Fondazione Roma Sapienza, che in tale occasione inaugurerà le proprie attività.
Nel dibattito saranno affrontate questioni economiche, storiche e sociali caratterizzanti i percorsi virtuosi di sviluppo, con uno sguardo all'economia italiana.
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